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Abitare Roma: le parole per dirlo

Abitare Roma: le parole per dirlo

A cura di Antonello Sotgia

Tempo di primarie: il gazebo non è il cielo in una stanza

E’ tempo di primarie. Ecco spuntare il gazebo. Quella specie di tenda sorretta da quattro esili gambette che ci tengono al riparo dal sole e, poco visto che è una copertura che non ha lati, dalla pioggia. 

Se l’architettura è elementare, più complessa è l’origine della parola. Un lungo viaggio nel tempo. Si porta appresso la desinenza latina ebo, quella che indica un tempo futuro, ci conduce all’arabo per poi planare su alcazaba la sua derivazione spagnola. Da qui la considerazione generale che tende a classificare quell’esile struttura come un belvedere. Un luogo privilegiato. Per guardare quello che ci circonda. Un luogo dove mettersi comodi per raccontare e raccontarsi il mondo con gli sguardi prima ancora delle parole.

Vedendolo tirar su alla bella e meglio questo “attrezzo”, il gazebo, mostra tutta la sua miseria. Che non è solo edilizia, quanto urbana. Il belvedere nella costruzione della città e  soprattutto dei suoi giardini ha rappresentato il luogo deputato per spingerci a valutare la costruzione degli spazi artificiali e il loro inserimento nell’ambiente naturale, ad interrogarci sulla misura della città. 

Questa petulante punteggiata di tende instabili sembra rappresentare esattamente il contrario. 

Non sono postazioni che  guardano a chi abita la città. Non sono costanti occhi ed orecchie per capire di che cosa la città sia fatta, di quali relazioni si alimenti. I signori dei gazebo, che sempre di tutto questo sembrano farne a meno, vorrebbero scoprirlo solo in occasione delle elezioni. Sono convinti di poterle capire invitando a mettere la croce sul nome di una persona pronta a dire che con lui/lei, ora, tutto sarà diverso. 

A dispetto della provenienza etimologica il gazebo, così come lo vediamo spuntare in queste occasioni, non riesce a guardare al futuro. Ad iniziare da come quest’esile quadrato di stoffa, quando ancor peggio d’orrenda plastica, viene abitato. Chi riceve sta seduto e tu stai in piedi. Per porre la tua firma, che altro non è che dichiarare la tua appartenenza alla città  e il tuo diritto di partecipare alla sua vita, devi entrare e piegarti, quale atto di omaggio, sotto quel simulacro di soffitto. 

Il gazebo elettorale ha questo significato simbolico. Tutto ciò che avviene sulle strade della città , il quotidiano costruire le forme di cittadinanza sociale deve essere ricondotto e messo sotto un lembo di stoffa. Messo lì a coprire il cielo, ad imprigionare il tuo progetto di vita futura in una casella. Ad affidare ad altri i tuoi sogni . 

Il gazebo elettorale non è un oggetto per la temporanea occupazione di suolo pubblico. Visti sparsi sulle nostre  piazze ricordano, piuttosto, quegli inutili soprammobili che le nostre mamme tiravano fuori quando pensavano  che sarebbero, da lì a poco, sopraggiunte a trovarle le persone che li avevano regalati.

Oggetti inutili per la casa quelli. Inutili per la città, e quindi per la nostra stessa vita, questi.

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